lunedì 21 maggio 2012

Ignoranza colpevole, cavalli vincenti, picco del petrolio e la sopravvivenza

Non c’è ignoranza più tenace e dannosa di quella di chi non vuol sapere. I motivi per non voler saper non sono pochi né di poco conto: la paura di scoprire qualcosa in contrasto con le proprie “rassicuranti certezze”, la pigrizia del non voler imparare cose nuove, gli interessi da difendere (che si teme possano essere messi in discussione), la sfiducia nel prossimo e nella propria capacità di non cadere in un inganno, il senso di colpa per aver difeso (magari a spada tratta) qualcosa di falso, la paura di quel che penseranno le persone dell’ambiente a cui apparteniamo e in cui ci siamo integrati, il timore di scommettere su un cavallo perdente e di condividerne le perdite, ecc...

Cavallo vincente non si cambia!

L’indifferenza e l’avversione alle nuove idee è un’arte sviluppata con sapienza ed equilibrio da, niente popo’ di meno che madre natura in persona. Sottovalutarla sarebbe quindi un grave errore.

Nell’ambiente naturale da cui proveniamo ha avuto la sua ragion d’essere. Il punto è stabilire fin dove ce l’abbia e/o se ce l’abbia ancor oggi. Il bello del mondo in cui viviamo...



...è che non esistono banalità. Queste ultime infatti non sono idee inutili, ma solo idee di cui ci siamo stancati e su cui non ci soffermiamo più. Il limite di certe idee, in altri termini, non risiede tanto nella loro banalità “intrinseca”, ma nella nostra banalizzazione, ossia nella nostra incapacità di dar loro vita e profondità. Il proverbio sopracitato che sconsiglia di cambiare “il cavallo vincente”, ad esempio, parrebbe un buon e valido suggerimento, eppure ha vistose ed evidenti lacune: qual è un cavallo vincente? Come lo si riconosce? E ammesso che il cavallo sia effettivamente vincente, quando inizierà a non esserlo più?
Sia inteso, queste lacune non dicono che il detto popolare sia errato, ma che una sua lettura oltranzista e rigida lo è.

Un esempio val più di mille parole: anche il più perfetto e sofisticato calesse al mondo non può competere con un’automobile, quindi chi, all’alba della motorizzazione, ha scommesso sul “cavallo vincente” dell’epoca, ossia la più rodata e consolidata di tutte le tecnologie di trasporto, quella a cavallo, è stato sonoramente battuto. In quella circostanza, chi ha puntato tutto sulle fabbriche di calessi, fedele al motto del “cavallo vincente” è stato letteralmente disarcionato dal mercato. Millenni di innegabili ed impareggiabili vittorie equine, non sono bastate! Un altro esempio: Olivetti, la nota azienda italiana divenuta celebre grazie all’estrema perizia nel confezionare splendide macchine da scrivere meccaniche, ha puntato tutto su questa sua capacità vincente ed ha perso quasi tutto scontrandosi con l’emergente industria elettronica ed il suo nuovo “cavallo da battaglia” il pc.

I due esempi sopra citati hanno un chiaro filo conduttore: la grandezza del proprio successo può rendere ciechi all’evolvere degli scenari. Detto in altri termini, le vittorie del cavallo rischiano di far diventare lo stalliere meno propenso al cambiamento e quindi meno adattabile. Questo è un bel guaio per il povero stalliere, perché, come ci ha insegnato il buon Charles Darwin, chiunque non evolve, prima o poi, si estingue e poco importa che quell’inadeguatezza derivi da un’eccellenza trasformata in rigidità oppure da una mancanza originaria che ha prodotto solo sconfitte. La selezione naturale è uno sport brutale, in cui nessuno riceve coppe o medaglie. L’unica gratificazione concessa (temporaneamente) è il diritto a continuare ad esistere. Quando si parla di selezione “naturale” si rischia però di cadere in errore. La parola “naturale” infatti può sviare l’attenzione dalla parola “selezione”, facendo credere che esista una sorta di selezione “artificiale” che segue regole diverse da quella “naturale”. Ogni selezione, per definizione non fa altro che sfoltire una popolazione, definendo chi è adatto e chi no. L’adeguatezza o meno dei “selezionati” dipende non solo da loro, ma anche e soprattutto dal selettore. La selezione “naturale” è priva d’intenzione, mentre quella artificiale di noi umani ne ha, ma entrambe non fanno altro che dividere il mondo in due categorie: chi rimane e chi scompare.
Il petrolio, all’interno della “selezione artificiale” è stato a lungo un cavallo non solo vincente, ma incontrastato. Data la nostra naturale tendenza, da scimmie calve quali siamo, a scommettere sempre sul “sicuro”, ossia sul campione del momento, non c’è nulla di cui stupirsi sulle incredibili resistenze a far largo a nuove tecnologie, alternative al campione dei campioni, sua maestà l’oro nero. Il fatto poi che il petrolio sia cambiato lentamente (molto lentamente) divenendo sempre più costoso e difficile da estrarre nel corso però di lunghissimi decenni di impareggiabili vittorie, ha reso ancor più facile l’illusione che il petrolio potesse rimanere il campione per sempre. Le illusioni però sono solo problemi dei selezionati, non dei selettori.
Il petrolio perderà il suo scettro. Non per le aspirazioni di pace ed equità, né per quelle riguardanti il rispetto ambientale. Più semplicemente perché è ormai inadeguato alla realtà in cui si trova ad operare. Dovremo farne a meno. Non è una scelta.

Possiamo essere però tra quelli che scommettono sul brocco dal passato illustre o tra quelli che puntano sulle alternative sostenibili che ne prenderanno il posto. Chi ha capito veramente quel che il vostro affezionato Panda intende dire capirà anche che nella definizione “alternative sostenibili”, la parola “sostenibili” non è affatto un orpello definito da una moda passeggera. Se non impariamo ad andare d’accordo con i selettori naturali ed artificiali, se non impariamo presto ad essere, “sostenibili” ci toccherà fare la fine di tutti coloro che non si adeguano e non evolvono. A cadere a quel punto non sarà solo il petrolio.

Serve un cambiamento radicale e rapido. Bisogna iniziare a puntare massicciamente sui cavalli che non hanno ancora vinto nemmeno una gara, ma che di sicuro parteciperanno alle prossime. Perché proprio ora? Perché il petrolio non è più il campione che era, ecco perché. Perché i suoi costi diretti, indiretti e collaterali sono troppo elevati. Costi insostenibili sono per la selezione artificiale delle nostre economie l’analogo di ciò che sarebbero dei geni insostenibili in un ambiente naturale: un motivo valido di scarto. Abbiamo puntato tanto e per così tanto tempo sul petrolio che rischiamo di legare la sorte dei nostri geni a quelli dei costi del petrolio. Bisogna lasciare la presa ora o il petrolio del futuro sarà fatto con quel che resterà…
…dei nostri cadaveri. Scusate la licenza poetica, ma, dato il punto a cui siamo, tanto vale parlar chiaro. Se riusciremo a trovare un sostituto al petrolio adattando le nostre tecnologie ed il nostro stile di vita oppure se finiremo con l’estinguerci (se non biologicamente, senz’altro culturalmente e socialmente), dipenderà solo e soltanto da noi stessi e dalle nostre scelte. mi riferisco alle scelte che faremo ora! O qualcuno veramente crede ancora che il mondo stia implodendo solo e soltanto per dei mutui andati a male?
Prima di perdere benessere, sicurezza, democrazia e pace, cerchiamo almeno di non perdere il buon senso. Come si diceva, serve un cambiamento radicale e rapido e serve quindi tanto buon senso e subito, non tra venti o trent’anni. Non è più tempo di sogni infantili di crescita economica infinita o di petrolio infinito. Lo sappiamo tutti, non sono le alternative tecniche a mancare, ma una politica che abbia il coraggio di scendere di groppa dal ronzino-petrolio stracarico com’è di vittorie passate, medaglie e soprattutto tifosi sfegatati. Questi ultimi vi diranno che le rinnovabili non ce la possono fare, che devono ancora crescere per poter sfidare il loro campione petrolifero, che sono costose ed inaffidabili, che bisogna aspettare… tra un venti o trent’anni circa forse, chissà… Sperando che il cielo non ci cada sulla testa e la popolazione mondiale non tocchi i 9 miliardi di persone (povere e disperate come non mai) e sperando di non farci fuori l'un l'altro per accaparrarci quel poco che rimarrà da rubare alla Terra.
Il Panda non obbietta nulla a ciò che dicono quei “tifosi” sfegatati dell’oro nero. Sono vecchi e stanchi, perchè togliergli pure quest'ultima illusione? Inoltre non ci può essere dialogo con dei dinosauri e se anche potesse esservi, non servirebbe a molto per decidere il da farsi sul futuro. Non è un fatto di stima, intelligenza o cultura: non si può convincere un vecchio e flacido T-Rex a trasformarsi per magia in un mammifero, né un petroliere o un suo misero suddito in un sincero sostenitore della squadra anti-petrolio.
È solo buonsenso. Non sono i petrolieri a dover cambiare, ma chi li finanzia, cioè noi ogni volta che facciamo un pieno o che compriamo qualcosa fatto grazie ad un uso criminale del petrolio che rimane. Mamma natura ci avrà fatti pure pigri e paurosi, ma non ci ha fatto privi di senso di soppravvivenza e della possibilità d'usarlo.


Buon futuro a tutti, dinosauri e non, dal Panda

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