venerdì 9 dicembre 2011

Il miglior investimento di questi tempi? Si chiama Resilienza!

Molti oggi sono spiazzati dagli accadimenti in corso. Molti restano sbigottiti dalle drastice misure che schiacciano le classi sociali bassa e media. Questo sbigottimento è aumentato dal fatto che contemporaneamente vengono mantenuti sostanzialmente inalterati i privilegi per le classi agiate (i ricchi e i ricchissimi). Nonostante lo sbigottimento e i malumori, tuttavia, molti acconsentono a questi sacrifici nella speranza che ciò possa contribuire a superare le avversità ed i rischi di una situazione internazionale tanto drammatica quanto l'attuale.

Il problema è che a molti, a troppi, sfugge il quadro generale della situazione, ossia le ragioni profonde che ci hanno condotti al punto in cui siamo.
Vale la pena di adottare quindi  una visione più ampia per tentare di interpretare lo scenario che ci circonda in questi giorni di crisi. Proviamoci...

Sostanzialmente noi tutti stiamo vivendo la fine di un enorme ciclo storico iniziato con la prima rivoluzione industriale. Un ciclo iniziato addirittura dalla seconda metà del 18° secolo. Nacque allora, infatti, l’illusione che, mettendo in competizione gli egoismi personali all’interno di una realtà chiamata Mercato, ciò avrebbe condotto ad un equilibrio ottimale ed ad uno sviluppo economico senza fine. Un bel sogno, non c’è che dire. Purtroppo però la realtà storica ha dimostrato che lo sviluppo economico a cui si assistette, benché effettivamente presente in modo sostanzialmente ininterrotto da quei giorni lontani, trae origine solo ed esclusivamente dall’accesso sempre maggiore a fonti energetiche a basso o bassissimo costo (forza lavoro, carbone, petrolio, gas, uranio, ecc…) e dall’accesso a risorse naturali rese improvvisamente sfruttabili proprio da quel crescente boom di energia a buon mercato. La retorica del lavoro e dell’intraprendenza imprenditoriale hanno oscurato questa realtà lampante tutto questo tempo per giustificare e preservare (ad ogni costo) le costanti iniquità generate da quel sistema (il mercato appunto). Il mancato raggiungimento del tanto propagandato equilibrio ottimale, per secoli, è stato giustificato tramite artifici retorici, propaganda, censura e l’emarginazione sistematica di tutte le voci dissonanti. La coesione sociale, lacerata e tesa a volte oltre ogni limite, ha sostanzialmente retto soprattutto grazie al costante “sbandieramento” degli innegabili miglioramenti dello stile e della qualità di vita ottenuti nel frattempo, nonostante le evidentissime iniquità sociali sopportate. Il processo è così continuato, attraverso ere e rivoluzioni, apparentemente inarrestabile, passando incolume tra guerre, colonialismi e depredazioni senza limiti d’ogni genere e tipo. Il culmine di questo ciclo storico è stato il raggiungimento infine del massimo squilibrio sopportabile, ossia quello dove una percentuale infinitesimale di persone detiene quasi tutta la ricchezza mondiale, una piccola minoranza detiene un livello di benessere medio e tutti gli altri sono poco sopra, oppure sotto, al livello di sussistenza (e ciò nonostante il livello tecnologico consenta, volendo, d’ottenere cibo e condizioni di vita decenti per tutti). Per garantire la costante crescita economica su cui le disparità sociali si fondano, il sistema economico si è alimentato di un’esasperata politica di crescita demografica mondiale, un altrettanto esasperato sfruttamento delle risorse naturali e un pazzesco sistema di sprechi di risorse volto a mantenere artificiosamente alta la domanda per adeguarla artificiosamente all’infinita cupidigia sottostante l’offerta di beni e servizi (su cui poggiano gli interessi delle classi dominanti).

Per garantire quella bolla consumistica si è espanso il credito oltre ogni ragionevolezza tanto da raggiungere un picco del debito mondiale ora evidente più che mai. La palese sfiducia verso enti pubblici e privati dell’effettiva capacità di detti enti di rimborsare eventuali nuovi prestiti è tangibile ovunque ed ancor più nella prima economia del pianeta, ossia quella degli USA, in cui il debito aggregato supera ormai di ben 5 volte il PIL dell’economia a stelle e strisce.

Di pari passo si è spinta la crescita demografica oltre ogni buonsenso, fino al raggiungimento (ed ampio superamento nei prossimi anni) della cifra record di 7 miliardi di persone. La pressione sui sistemi ecologici del pianeta, già esasperata dall’eccessiva popolazione, è stata ancor più esasperata da una totale e folle indifferenza a qualsiasi limite di sfruttabilità delle risorse del pianeta. Le conseguenze, oltre ad un tasso d’estinzione fuori controllo di specie animali e vegetali, si è manifestato sia nei mari (con il loro depauperamento ittico, innalzamento dei livelli, acidificazione ed asfissia), nei cieli (effetto serra e smog) e nei suoli (desertificazione, erosione, perdita di fertilità). Alla base di ciò vi è il picco delle risorse. In parole povere ogni anno consumiamo troppo: complessivamente circa 1,3 volte le risorse naturali disponibili (calcolate in base alla velocità con cui queste si rigenerano). In futuro non sarà quindi più possibile un ulteriore sostanziale aumento dello sfruttamento naturale ed anzi, nel medio/lungo periodo sarà impossibile reggere i livelli attuali. Le fonti di energia fossile scarseggiano sempre più rispetto alla domanda via via crescente, causando andamenti rialzisti dei prezzi sempre più insostenibili indipendentemente e prima del loro materiale e totale esaurimento. Molto presto non saranno più disponibili per tutti (già non lo sono per le fasce di popolazione più povera del pianeta).

Il sistema mondiale basato sul mercato e sulla crescita economica infinita sta toccando i propri limiti. In altri termini sta implodendo su se stesso. Le misure volte a contenere il debito non produrranno quindi alcun risultato tangibile a meno di non essere tanto drastiche da far collassare i consumi a livello planetario. Questo modo brutale e privo di visione di lungo respiro potrebbe frenare il sistema momentaneamente forse, ma non può in alcun modo correggerlo, poiché si muove all’interno della stessa logica che ci ha portato fin qua: ora sacrifici e poi nuova crescita. La crescita infinita con risorse a disposizioni finite è semplicemente impossibile. Tentare nuovamente questa strada vuol dire andare incontro ad un crollo del sistema, un vero e proprio collasso della civiltà così come la conosciamo. Le tempistiche sono strette: o iniziamo a pianificare una decrescita sostenibile fin da ora, oppure subiremo le conseguenze di un “atterraggio duro” causato dalla “rottura” del sistema globalizzato in cui viviamo e da cui traiamo di che vivere.

A complicare lo scenario ed ad aggravarlo (ma non a determinarlo in quanto tale) ci si aggiunge una speculazione finanziaria globale senza regole né freni. Questa non potrà far altro per sua natura che anticipare i tempi del collasso. Quindi i tempi per reagire a nostra disposizione si fanno ancor più brevi.

La speculazione finanziaria mischiata ai gravi malanni della globalizzazione (che implica un’altissima interdipendenza di tutte le economie, le tecnologie ed i sistemi a livello mondiale) comporta un’instabilità sistemica che rende già ora perdente qualsiasi investimento sensato. Dove si può investire risorse e denari traendone profitto se in atto ovunque un collasso sistemico che travolge in primis i sistemi economici?

Semplice, in RESILIENZA. Cos’è? Il fatto stesso che questa parola sia sconosciuta ai più, in un periodo di crisi sistemica come quella che stiamo vivendo, non è per nulla un buon inizio.

La resilienza è la capacità di un sistema qualsiasi di resistere agli shock. I sistemi ad altissima interdipendenza (come l'economia globalizzata) permettono di fare grandi cose, ma sono intrinsecamente poco resilienti. Poco resilienti, cioè vulnerabili anche a piccoli cambiamenti. Le loro componenti, infatti, sono estremamente sensibili ad eventuali errori, problemi o difetti delle altre parti che li compongono. Facendo un esempio facile-facile: un sistema completamente incentrato sul petrolio è scarsamente resiliente, poiché basterà che quel solo elemento (il petrolio appunto) vada in affanno per compromettere l’intero sistema. Viceversa un sistema che si fondi contemporaneamente su una vastissima gamma di fonti energetiche (slegate tra loro) sarà più resiliente, poiché, per andare in malora, dovrebbero guastarsi contemporaneamente tutte le fonti di approvvigionamento energetiche contemporaneamente.

Alcune discipline come la Permacultura hanno fatto del concetto di resilienza un prerequisito. L’adozione di tali metodologie su ampia scala e in tutti gli ambiti (produttivi, tecnologici, legislativi e culturali) dovrebbe essere allo stato attuale più che scontato. L’aumento di resilienza può essere perseguito sia sul piano individuale sia su quello collettivo e, fra l’altro, comporta inevitabilmente la riscoperta di rapporti simbiotici e solidaristici come motore di creazione di benessere e ricchezza.

La Resilienza è la vera rivoluzione che ci attende: o la si coglie oppure ci si fa sfuggire un’opportunità che non riapparirà più per lungo tempo, sostituita da scenari di sofferenza e desolazione senza precedenti. L’Italia ed il mondo intero, anziché insistere nei soliti vecchi errori ed illusioni, dovrebbero dare una svolta decisa verso l’amplificazione della resilienza globale tramite: la demolizione dei monopoli, l’eliminazione o il drastico ridimensionamento dell’economia speculativa, l’incremento di ricerca e sviluppo in tutti i campi legati alla sostenibilità, l’attuazione di drastiche politiche di risparmio energetico, idrico e di suolo fertile, l’imposizione di tasse volte a castigare comportamenti socialmente dannosi a favore di quelli benefici, l’eliminazione delle inutili e sovrabbondanti burocrazie improduttive tramite misure volte a trasformarle in entità creatrici di valore aggiunto, ecc… ecc... ecc…

Per far tutto ciò bisogna aumentare la quantità e la qualità delle relazioni positive tra i singoli componenti del sistema ossia bisogna innanzitutto disfarsi del vecchio e letale ideale dell’individualismo incentrato sulla competizione senza pietà, a favore di una veloce rivalutazione del concetto di simbiosi e mutualismo (inteso non solo e non tanto da un punto di vista morale, ma economico e sistemico). In natura è innegabile che ci sia una competizione tra predatori e prede, ma non vi sarebbe nessun equilibrio senza una rete molto più fitta di relazioni simbiotiche. La natura ha retto a cataclismi indicibili e lo ha fatto per miliardi di anni. Il capitalismo global-liberistico, invece, non riesce a sopravvivere neppure a sé stesso e nemmeno a pochi secoli di distanza dalla sua nascita. Il vostro affezionato Panda suggerisce quindi a chi ritiene i discorsi sulla decrescita economica felice e sulla resilienza delle stramberie campate in aria, di procedere con cautela, e di non far affrettati sfoggi di giudizi severi ma privi di una conoscenza adeguata della materia. A chi invece la materia la conosce e la padroneggia (più o meno bene), il vostro Panda suggerisce di far circolare queste idee il più possibile tra chi ancora non le conosce, evitando la trappola dei “club” auto-referenziati per soli afecionados. Si deve pur affrontare la critica superficiale, l’ironia e l’ignoranza se le si vuole sconfiggere.

Occore agire. Senza nemici né rancori. Sfruttando tutte le risorse possibili, anche quelle più strane ed impensate. Senza cadere a propria volta in facili stereotipi volti unicamente a disprezzare chi non la pensa allo stesso modo. La varietà è una caratteristica da esplorare e sfruttare, non certo da temere. L'arroganza, da qualunque parte giunga, è in fin dei conti una caratteristica assai poco resiliente, quindi meglio disfarsene.

In definitiva occorre fare tutto il possibile per alzare i livelli di resilienza del sistema in cui noi tutti viviamo: il pianeta Terra. Le conseguenze di un fallimento sono troppo amare per accettarle a testa bassa, con il portafogli vuoto, col proprio sedere sprofondato sul divano, la testa in fuga da tutto, anche da sé stessa e cacciata dentro una tv. Nella vita occorre tentare ed andare fino in fondo quando ne vale la pena e se ne vale la pena, il vostro affezionato Panda lo lascia volentieri decidere a voi.


Buon futuro a tutti (ma proprio a tutti) dal Panda

P.S. -  Il vostro affezionato Panda suggerisce a chiunque sia interessato a comprendere i meccanismi di base all'origine delle difficoltà economiche attuali dare un'occhiata qui (nel caso non l'abbia già visto i video del famoso CRASH COURSE ideato da Chris Martenson).

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