lunedì 7 febbraio 2011

L'Egitto a Picco

Diversamente da quanto ritenuto dai più, l’attuale crisi egiziana non è una crisi politica. Che Mubarak se ne vada oppure resti saldamente al potere non è rilevante per la ricerca di una reale soluzione dei problemi dell’Egitto. Pandemica-mente è avversa ad ogni tipo di dittatura o regime, ma non ci si può illudere di risolvere i problemi che stanno dietro alla rivolta democratizzando l’Egitto. Il motivo è estremamente semplice: l’Egitto non è al collasso per mancanza di intraprendenza politica, né per assenza di democrazia (che pure manca), né per i soliti oscuri giochi di potere dello scacchiere mediorientale, l’Egitto è al collasso per un deficit di economia reale. Non c'è nessun segreto, nessuno scoop, è tutto alla luce del giorno e ben noto da anni. Eppure i tg ed i giornali fan finta di non sapere nulla, lasciando intendere agli spettatori che quanto sta accadendo in questi giorni in Egitto e nei paesi a sud del Mediterraneo sia un fulmine a ciel sereno. Eppure è ben noto il perchè di quel che sta accadendo...
... una crisi energetico-agricolo-finanziaria. La crisi politica di Mubarak è solo una delle conseguenze e non la causa dell'attuale situazione.
All’Egitto sovrappopolato e cronicamente dipendente dalle importazioni alimentari dall’estero, quel che manca oggi è abbastanza petrolio da esportare per far fronte a tali importazioni. Non è che l’Egitto non ha più petrolio, ma non ne ha abbastanza per alimentare i consumi crescenti della propria economia interna e contemporaneamente le esportazioni necessarie a colmare il suo deficit agricolo. La crisi egiziana è dovuta al fatto che il petrolio egiziano non è infinito, la popolazione è cresciuta troppo e l’agricoltura egiziana troppo poco. Oggi quindi tanto Mubarak quanto qualsiasi su possibile successore dovrà scegliere se far fare la fame agli egiziani per assenza di energia oppure di cibo. Ebbene sì, quel che sta colpendo così duramente l’Egitto si chiama Picco del Petrolio o se preferite Picco di Hubbert. Più precisamente, quanto sta accadendo in Egitto era stato accuratamente previsto dalla "teoria" denominata Export Land Model che valuta gli effetti dei picchi di estrazione nei paesi esportatori di petrolio (qual'era l'Egitto fino a poco fa). Si veda a tal proposito i bei post di Debora Billi - qui - oppure quello di  TOD - qui - od quello di Marco Pagani - qui od infine quello di Ugo Bardi - qui.

Nei decenni passati chi ha amministrato il paese lo ha fatto non considerando le gravi conseguenze di un boom demografico incontrollato associato alla crescente dipendenza della già scarsa agricoltura egiziana da prodotti di sintesi di origine petrolifera. Non si è tentato di approntare un piano B, nemmeno quando era già palese la necessità assoluta di un piano B. Il fatto è che l’economia egiziana, scava scava, è un’economia che poggia su una sola colonna: il petrolio. Il potere che ne deriva è un potere sordo a qualsiasi istanza che non sia quella del petrolio e repressivo verso qualsiasi cosa rischi di alterare l’equilibrio di potere creato dall’oro nero. Il potere egiziano funziona esattamente come per il resto del mondo, con l'unica differenza di un'economia particolarmente fragile ed una dipendenza alimentare dall'estero. Le oligarchie egiziane ed internazionali hanno da sempre relegato i deserti egiziani (e non) al ruolo di inutili depositi di sabbia anziché come motori economici di rilievo mondiale. Ciò non è avvenuto per immaturità tecnologica dell'energia solare, ma per convenienza personale delle oligarchie stesse. Non è che quelle oligarchie siano il diavolo in persona, semplicemente hanno fatto quel che ogni organismo tende a fare: preservare se stesso. Il petrolio ha solo fornito loro molti strumenti per farlo, forse troppi. 

La disperata e scriteriata conservazione del potere basato sull’oro nero, effettuata a livello mondiale negli ultimi 60 anni a colpi di corruzione, dittature, guerre e colpi di stato, ha trasformato l’Egitto e tanti altri paesi nel mondo in vere e proprie trappole economiche senza via di scampo e il pianeta intero in una trappola climatica ed ambientale. Con l’arrivo del Picco del Petrolio cambieranno forse gli equilibri di potere, ma rimarranno certamente in eredità i disastri generati da quel potere.

Ai tanti “scettici” ed anti-picchisti che, come nei decenni passati, anche di fronte alla disperazione ed al tracollo di decine di milioni di persone (egiziane e non) fanno ancora finta di non vedere, di non capire, di non sapere, il vostro affezionato Panda ricorda che non è solo il petrolio egiziano in via d’esaurimento. Credere che tutto ciò non toccherà il ricco Occidente (in realtà sempre meno ricco ed occidentale) è un’illusione, un atto di fede di demenziale ottimismo, un bel sogno da cui tutti noi rischiamo di risvegliarci con la stessa morbidezza e piacevolezza di un pestaggio a base di mazze chiodate. Il Picco del Petrolio è il grande selettore darwiniano dell’economia moderna: o ci si attrezza per affrontarlo o lo si subisce in misura di quanto non ci si è attrezzati. La decrescita economica è inevitabile e, se non sarà una decrescita felice, sarà una decrescita molto infelice. Se continuiamo ad ignorare i segnali che il pianeta ci lancia, quello stesso pianeta ci ignorerà quando desidereremo acutamente di non essere ignorati. Tutto ciò non è catastrofismo, pessimismo, ambientalismo o moralismo. E’ la selezione naturale. Mostriamo un briciolo di darwiniano e sanissimo istinto di sopravvivenza (per non parlare dell’intelligenza) prima che non sia troppo tardi. Non commettiamo lo stesso errore dell’Egitto. Agiamo ora! Se rinviamo, nemmeno il più ricco, potente e corrotto uomo del mondo potrà più spendere un solo centesimo dei suoi fantamiliardi di euro quando apparterrà ad un sistema politico estinto, di un’economia estinta creata da una razza estinta che credeva che il petrolio fosse infinito. La decrescita pare proprio un’opzione felicissima, non trovate?

Buona e felice decrescita a voi tutti dal Panda.

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